Il Monte Athos, simbolo della Grecia Cristiana
14 Ιουνίου 2010
di padre Piero Gheddo*
Nella drammatica crisi economico-politica-sociale che sta attraversando la Grecia, paese vicino e fratello della nostra Italia, mi viene spesso in mente il Monte Athos, che ho visitato più di quarant’anni fa. E’ la famosa repubblica dei monaci cristiano-bizantini, dove circa 1700 monaci (allora erano tanti, oggi 1500) vivono isolati in una stretta e lunga penisola nel mar Egeo, dov’è difficile entrare. Interdetta alle donne, ma dedicata a Maria, perchè, secondo un’antica tradizione, la Vergine Madre e San Giovanni vi trovarono rifugio in una tempesta del mare circostante.
Non è facile visitare il Monte Athos, ci vogliono permessi speciali, perché questa repubblica dei monaci, anche se territorialmente appartiene alla Grecia che vi mantiene un governatore (nominato dal Ministro degli Esteri greco), è riconosciuta come una “entità teocratica indipendente”, che dipende direttamente dal Patriarca di Costantinopoli; e la Grecia difende rigorosamente questa indipendenza e i confini del territorio monastico.
Prima di andarci con due sacerdoti spagnoli incontrati ad Atene, pensavo ad un monastero più o meno come i nostri. Invece no, è una vera “repubblica teocratica”. Un vasto territorio lungo la piccola penisola (45 km e il confine con la Grecia all’inizio), con boschi, campi coltivati, strade, montagne, mercato, villaggi dove abitano monaci ma anche laici che servono i monaci, con la famiglia e le donne a pochi chilometri in Grecia. La penisola ai confini con la Grecia è montuosa e boscosa, piena di dirupi. Più avanti degrada verso il mare ed è quasi deserto.
Al centro la “Meghisti Làvra” (la grande làvra), il monastero fondato da Sant’Anastasio nel 963. “Làvra” significa “cammino stretto” e include le celle monastiche, la chiesa, il forno, i magazzini, la foresteria e altri servizi. I monasteri cenobitici (il cenobio è dove i monaci vivono una vita comunitaria) sono venti. Poi ci sono anche i monaci che vivono individualmente e provvedono col lavoro alle personali necessità, partecipano alla liturgia del monastero da cui dipendono e mangiano con i monaci nelle grandi feste liturgiche. Ci sono monaci che vivono in grotte isolate, altri su cocuzzoli di montagne di difficile accesso e ogni tanto vengono riforniti di cibo dal basso con una cesta.
Alla repubblica monastica si accede solo per mare e, a parte il viaggio in pullman che conduce dal porticciolo alla grande Làvra e per qualche trasferimento più lungo, per visitare il territorio si fanno ore a piedi, fra boschi, colline e monti, sempre in un paesaggio incantevole, col mare azzurro cupo che a volte si vede dalle due parti della stretta penisola. I permessi di residenza sono di 3-4 giorni, ma estensibili, e si è ospiti nella foresteria di un monastero. La grande Làvra, sospesa fra cielo, terra e mare, è il luogo principale di questo “monte santo” consacrato a Maria e alla contemplazione di Dio e della natura. Ricordo di aver vissuto tre giorni in un’atmosfera satura di preghiere, canti, fatiche e rinunzie, ma con l’animo allegro perché ti trovi a contatto con la natura e soprattutto con Dio. Tutto traspira Dio, tutto parla di Dio, che si rivela riempiendo il cuore di gioia. Se si visita il Monte Athos, bisogna andarci con l’animo aperto alla contemplazione, altrimenti non si resiste.
I monaci vengono da varie parti del mondo ortodosso, dalla Russia e persino dai greci nelle Americhe, e nella loro vita percorrono la “Scala del Paradiso”, descritta da San Giovanni Climaco (sec. VII), che è il loro modello: combattere le proprie passioni e raggiungere l’“apathìa”, l’indifferenza spirituale, per entrare nella “vita evangelica”. Nel refettorio della grande Làvra, a destra sono affrescati gli angeli che aiutano e confortano i monaci che salgono la difficile scala verso Cristo; a sinistra i demoni tentatori che divorano i monaci che precipitano dalla scala perché incapaci di vincere le tentazioni.
Ripensando a quella breve esperienza e ai brevi dialoghi (si parlava francese) con un giovane monaco che ci accompagnava nelle visite (tra i monaci ci sono laureati, medici, ingegneri), mi è sembrato di capire la differenza tra l’Occidente e l’Oriente cristiano (una delle tante). Noi privilegiamo, nella formazione dei preti e anche nella predicazione, lo studio speculativo e teoretico della teologia, pensando forse che conoscere in modo approfondito equivale a vivere; là nell’Athos non fanno tanti ragionamenti e distinzioni, tutto è volto alla ricerca di Dio, al percorrere un cammino spirituale che ti conduce a Dio. Noi vogliamo conoscere Dio, loro tendono ad incontrarlo per lasciarsi trasfigurare da Lui.
Il Monte Athos, come tutti i conventi di clausura, è un luogo simbolico del cristianesimo, che è radicato sulla terra ma tende al cielo. E’ una scala verso il Paradiso, la Gerusalemme del cielo trasformatasi in monastero, anticipazione dei “cieli nuovi e terra nuova” del Regno di Dio. Simboleggia anche, per noi Chiesa latino-occidentale, la ricchezza liturgica e spirituale dell’Oriente cristiano. E ci invita a pregare per l’unità delle Chiese cristiane, poichè solo così Cristo potrà essere testimoniato e annunziato in modo credibile a tutti i popoli e le culture del mondo.
“Quale Cristo annunziamo ai non cristiani?” si chiedeva il beato padre Paolo Manna, uno dei massimi profeti dell’ecumenismo cattolico nel Novecento. E aggiungeva: “I non cristiani ci dicono: vi ascolteremo quando vi sarete messi d’accordo”. Era uno dei rovelli della sua anima di missionario e dovrebbe diventare anche il nostro.
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*Padre Piero Gheddo (www.gheddopiero.it), già direttore di Mondo e Missione e di Italia Missionaria, è stato tra i fondatori della Emi (1955), di Mani Tese (1973) e Asia News (1986). Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente scrivendo oltre 80 libri. Ha diretto a Roma l’Ufficio storico del Pime e postulatore di cause di canonizzazione. Oggi risiede a Milano.